Torture in Iraq. Imbarazzo su tutti i fronti
Imbarazzo
è la parola chiave per definire la reazione dominante allo scandalo
delle torture e delle uccisioni dei prigionieri detenuti dalle truppe
Usa in Iraq e in Afghanistan. Imbarazzo dei vertici militari che fino
all'ultimo hanno tentato di definire questi eventi come bavures,
\"deplorevoli eccessi\" di qualche \"scheggia impazzita\", e hanno
cercato di confinare il caso a 6 soldati e una generalessa della
riserva.
Imbarazzo
del loquacissimo ministro della difesa Donald Rumsfeld che fino a due
giorni fa ha tenuto la bocca cucita sugli \"abusi\" (qui vengono
chiamati così, non \"torture\"). Imbarazzo del presidente George W. Bush
che ha dichiarato \"inaccettabili e inammissibili\" questi \"episodi\",
ma che ieri ha avuto la faccia tosta di andare a dire alle tv arabe che
\"la democrazia non è perfetta, ma almeno nella nostra democrazia
questi abusi si vengono a sapere e vengono puniti mentre le torture di
Saddam erano segrete e continuate\". E queste sarebbero le \"scuse\"
(apology) che ha offerto al mondo arabo!
Ma
l'imbarazzo è anche del candidato democratico John Kerry che basa tutte
le sue (scarse) possibilità di elezione sui propri eroici trascorsi
militari e sulla sua capacità di attrarre il blocco dei veterani non
conservatori: denunciare le torture come metodo \"sistemico\" a non
pratica \"episodica\" gli metterebbe contro il Pentagono e il blocco di
voti di più di 7 milioni tra militari ed ex, e delle loro famiglie.
L'imbarazzo deriva dal fatto che queste rivelazioni non sono spendibili
politicamente per nessuno.
Imbarazzo
anche delle tv che non hanno mai mostrato le foto più terribili e che
comunque hanno sempre trasmesso di sfuggita anche le meno traumatizzanti
. Ma non c'è da stupirci: immaginiamo come Emilio Fede e il Tg1
darebbero la notizia di torture commesse da soldati italiani.
Imbarazzo
dei grandi giornali conservatori: il Wall Street Journal (2,1 milioni
di copie) in questa settimana non ha mai dedicato un articolo in prima
pagina all'argomento. Il centrista e \"impolitico\" Usa Today ieri
dedicava la spalla di prima alle \"10 morti\" (e non 25) \"sotto
indagine\", ma la cover story con articolo a girare e grande foto in
prima era dedicata a un eroico soldato con la gamba amputata sopra la
caviglia che però \"torna a fare sport e a combattere\".
Ma
anche i grandi giornali liberal (che in fondo sono solo due, il New
York Times e il Los Angeles Times) hanno faticato da matti a dare
evidenza alla vicenda e hanno dovuto aspettare che succedesse il
finimondo nella stampa e nella tv inglese (Bbc), quindi ricevibile da un
pubblico anglofono, per dare risalto alla storia, ma sempre con il tono
che, prima ci sono stati abusi, ma ora i comandi stanno punendo i
responsabili.
Imbarazzo
che corrisponde a una realtà più sotterranea: queste immagini
contraddicono a tal punto l'immagine che gli americani hanno di se
stessi che è difficile per chiunque accettarle o anche mandarle giù,
perché se gli americani sono \"brava gente\", nice guys, e se gli Stati
uniti sono la terra della libertà, della democrazia e del rispetto delle
leggi, allora queste immagini sono impossibili. Se invece le foto sono
vere, viene meno, o almeno viene profondamente intaccata, l'idea di sé
degli Stati uniti come nazione che ha una missione unica nella storia
umana, quella di portare democrazia e benessere nel mondo.
Da mesi si disquisiva dottamente a Washington e a New York se questa guerra è paragonabile a quella del Vietnam. Ed ecco che a fatica filtrano le rivelazioni di torture e morti in carcere: c'è da chiedersi se avranno lo stesso impatto sulla coscienza nazionale americana dell'eccidio di My Lay in Vietnam.